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Contatto e sensazioni.

    “[…] ogni qualvolta c’è un contatto, con un oggetto dei sensi, c’è una sensazione. Ad esempio, l’occhio incontra un’immagine e c’è ciò che viene visto, l’orecchio incontra un suono e c’è il sentire, e così a seguire accade per ciascuna delle porte dei
    sensi, inclusa la mente, la mente incontra un pensiero e c’è il pensare.
    Il contatto, cioè l’incontro tra la porta dei sensi e l’oggetto, porta con sé una sensazione, piacevole, spiacevole oppure neutra. Quando percepiamo la caratteristica specifica della
    sensazione presente la nostra mente inizia a produrre pensieri su
    di essa, su questi pensieri, attraverso la proliferazione mentale,
    ne costruiamo altri e infine, indugiando nel rimuginare facciamo
    sì che partendo dallo stato della nostra mente proiettiamo la
    nostra percezione sul mondo esteriore. […] .
    Abbiamo visto che laddove c’è il contatto, c’è il tono della sensazione: piacevole, spiacevole o neutro. Il tono della sensazione è la condizione per il sorgere del
    desiderio. Intendiamo qui il termine “desiderio” nel suo senso ampio, che include anche il desiderio come pre-condizione per il sorgere dell’avversione, come quando pensiamo:
    “Questa cosa non dovrebbe essere così, dovrebbe scomparire
    non dovrebbe essere successa…”. Ma anche desiderio come condizione per l’identificazione, l’attaccamento, l’aggrapparsi a qualcosa, come quando pensiamo: “Che bella questa cosa, dovrebbe non finire mai, dovrebbe anzi diventare ancora più
    bella e piacevole!”. L’aggrapparsi a qualcosa è la condizione per il divenire: il divenire è l’immagine, l’opinione, l’idea chi siamo in questo momento. Ad esempio: “Oh come
    sono triste, sono senza speranza…” “Sono stato davvero spettacolare!”. In questo modo ci lasciamo definire da ciò con cui ci identifichiamo: se mi identifico col corpo sarò solo
    malato, o sano, giovane, oppure vecchio. Se ci identifichiamo con la tristezza ci definiremo delle persone tristi, se con l’ansia saremo persone molto ansiose, se con la disistima ci percepiremo come senza speranza.
    Buddha ha quindi compreso, e chiaramente definito, che il mondo che noi dipingiamo sorge dal contatto e che con la cessazione del contatto c’è la cessazione di quel mondo.
    Ha compreso che il folle insegue continuamente il contatto, mentre il saggio cerca di comprenderlo. Il mondo che cessa non è ovviamente il mondo delle condizioni, quelle ci
    saranno sempre, il mondo che cessa è il mondo delle costruzioni, delle formazioni mentali […].”
    (CHRISTINA FELDMAN, in Sati – Pubblicazione dell’Associazione Ameco di Roma – Gennaio-aprile 2020)