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Praticare la presenza

    “[…] Per poter praticare la presenza, cioè per vivere pienamente il momento presente, il “qui ed ora”, occorre fare i conti con la nostra vulnerabilità, con la nostra ferita. Invece, la maggior parte delle nostre esistenze sono spese in uno stato di allarme e nella costante difesa in vista di un possibile “pericolo”. Una continua attività di prevenzione anche quando non esiste alcun pericolo reale, dettata dai nostri condizionamenti che ci dicono quotidianamente che dobbiamo difenderci, oggi, da ciò che, presumibilmente, abbiamo percepito o vissuto in un passato lontanissimo. Così, la vulnerabilità è associata a qualcosa di negativo, ma, invece, se mollo la mia difesa (la mia risposta automatica ad un particolare evento o situazione: reazione, rabbia, fuga, isolamento, ecc..), se smetto di difendermi (e difendere l’immagine di me che voglio far passare) ed entro in contatto con la mia vulnerabilità, posso iniziare ad aprirmi a me stesso ed agli altri. Entrare in contatto con il mio essere vero ed essenziale. Quando ci difendiamo invece guardiamo solo fuori di noi, ma senza un vero contatto con noi stessi non potremo avere alcuna relazione di qualsiasi tipo con l’altro e con gli altri. […]”
    (Laboratorio di Pratica della Presenza)