“[…] Nel nostro repertorio, ogni emozione ha un ruolo unico, rivelato dalle sue caratteristiche biologiche distintive […]. Con i nuovi metodi di cui può avvalersi la scienza per scrutare nel corpo e nel cervello, i ricercatori stanno scoprendo ulteriori dettagli fisiologici sul modo in cui ciascuna emozione prepara il corpo a un tipo di risposta molto diverso.
– Quando siamo in “collera”, il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o sferrare un pugno all’avversario; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra i quali l’adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un’azione vigorosa.
– Se abbiamo “paura”, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle gambe, rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (ecco da dove viene la sensazione che “si geli il sangue”).
Allo stesso tempo, il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, forse per valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.
– Nella “felicità”, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione dei centri che generano pensieri angosciosi. Tuttavia, a parte uno stato di quiescenza che consente all’organismo di riprendersi più rapidamente dall’attivazione biologica causata da emozioni sconvolgenti, non si riscontrano particolari cambiamenti fisiologici.
Questa configurazione offre all’organismo un generale riposo, e lo rende non solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere ma anche pronto a battersi per gli obiettivi più diversi.
– L'”amore”, i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico; in altre parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che abbiamo visto nella reazione di “combattimento o fuga” tipica della paura e della collera. La modalità parasimpatica, che potremmo anche chiamare “risposta di rilassamento” si avvale di un insieme di reazioni che interessano tutto l’organismo e inducono uno stato generale di calma e soddisfazione tale da facilitare la cooperazione.
– Nella “sorpresa” il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni sull’evento inatteso, contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione del migliore piano d’azione.
– In tutto il mondo l’espressione di “disgusto” è la stessa, e invia il medesimo messaggio:
qualcosa offende il gusto o l’olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin, l’espressione facciale del disgusto – il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso accenna ad arricciarsi – indica il tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso.
– La “tristezza” ha la funzione fondamentale di farci adeguare a una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino.
Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita in particolare per le distrazioni e i piaceri – e, quando diviene più profonda e si avvicina alla depressione, ha l’effetto di rallentare il metabolismo. La chiusura in se stessi che accompagna la tristezza ci dà l’opportunità di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi – e quindi al sicuro – quando erano tristi e perciò più vulnerabili.
Queste inclinazioni biologiche a un certo tipo di azione vengono poi ulteriormente plasmate dall’esperienza personale e dalla cultura. Ad esempio, la perdita di una persona amata suscita universalmente tristezza e dolore. Ma il modo in cui esterniamo il nostro lutto – il modo in cui le emozioni sono esibite in pubblico o trattenute in modo da esprimerle solo in privato – è forgiato dalla cultura; analogamente, dipendono dalla cultura i criteri con i quali le persone vengono classificate o meno nella categoria di quelle “amate” delle quali si debba piangere la morte.
Il lungo periodo dell’evoluzione durante il quale queste risposte emozionali si andarono forgiando fu certamente caratterizzato da una realtà ben più dura di quella che la maggior
parte degli esseri umani si trovò poi a dover affrontare in quanto specie a partire dagli albori della storia. Era un tempo in cui pochi bambini sopravvivevano all’infanzia e pochi adulti superavano i trent’anni; un tempo in cui i predatori potevano colpire in ogni momento; un tempo, infine, in cui il capriccioso alternarsi di siccità e inondazioni si traduceva nello spettro della fame o nella possibilità di sopravvivere. Ma con l’imporsi dell’agricoltura e delle società umane, anche molto primitive, le probabilità di sopravvivenza cominciarono ad aumentare sensibilmente. Negli ultimi diecimila anni, quando queste conquiste si affermarono in tutto il mondo, le feroci pressioni che avevano tenuto in scacco le popolazioni umane andarono
costantemente allentandosi.
Erano state quelle stesse pressioni a rendere le nostre risposte emozionali così preziose per la sopravvivenza; quando esse cessarono, venne meno anche il perfetto adattamento del nostro
repertorio emozionale. Se è vero che nel passato più remoto la propensione alla collera poteva costituire un vantaggio di cruciale importanza in termini di sopravvivenza, oggi che le armi automatiche sono a portata di mano dei tredicenni una tale inclinazione può troppo spesso portare a reazioni disastrose. […].”
(Daniel Goleman – Intelligenza emotiva)