” […] Supponiamo che una bambina di due mesi si svegli alle tre di notte e cominci a piangere. La madre va da lei e, per la mezz’ora successiva, allatta la piccola tenendola fra le braccia, guardandola con affetto e raccontandole quanto sia felice di vederla, sia pure nel bel mezzo della notte. La bambina, soddisfatta dell’amore della madre, risprofonda nel sonno.
Ora immaginiamo un altro bambino di due mesi, che si svegli anche lui piangendo nel cuore della notte, ma che si scontri invece con una madre tesa e irritabile, che si era addormentata solo un’ora prima dopo aver litigato con il marito. Il bambino comincia a entrare in tensione nel momento stesso in cui la madre lo prende bruscamente in braccio dicendogli “Sta’ buono – Ci mancava solo questa! Andiamo, facciamola finita”. Mentre allatta il bambino, la madre è come pietrificata: non lo guarda in faccia, ripensa al litigio con il marito e diventa sempre più agitata via via che rimugina sull’accaduto. Il bambino, percependo la sua tensione, si dimena, si irrigidisce e smette di succhiare. “Tutta qui la tua gran fame?!” dice la madre. “E allora basta!” Con lo stesso fare brusco, lo rimette nella culla ed esce dalla stanza lasciandolo piangere finché quello, esausto, non si riaddormenta.
Le due scene sono presentate nel rapporto del National Center for Clinical Infant Programs come esempi di interazioni che, se ripetute all’infinito, istillano in un bambino sentimenti molto diversi riguardo a se stesso e alle sue relazioni più strette. La bambina del primo esempio sta imparando che può confidare nel fatto che gli altri si accorgano delle sue esigenze, che può contare su di loro per essere aiutata e che sa ottenere l’aiuto che le serve; il secondo bambino, invece, sta scoprendo che a nessuno importa molto di lui, che non si può contare sugli altri, e che i suoi sforzi per ottenere conforto sono destinati a scontrarsi con il fallimento.
Naturalmente, la maggior parte dei bambini ha almeno un assaggio di entrambi i tipi di interazione. Ma nella misura in cui una o l’altra è tipica del modo con cui i genitori trattano il proprio figlio nell’arco di anni, tutto questo finirà per impartire al bambino alcuni fondamentali insegnamenti su quanto egli debba sentirsi sicuro e capace nel mondo e su quanto possa fidarsi del prossimo. Secondo Erik Erikson, questo impatto con i genitori determina se un bambino arriverà a nutrire un sentimento di fondamentale “fiducia” o “sfiducia”.
Questo apprendimento emozionale comincia nei primi istanti di vita, e continua per tutta l’infanzia. Tutti i piccoli scambi fra genitori e bambino hanno un fondo emozionale, e nella ripetizione di questi messaggi per anni, i bambini si formano un nucleo di prospettive e capacità emotive. […]”
(Daniel Goleman – Intelligenza emotiva)